L’heritage manuale dell’arte conciaria.


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Come ha scritto di recente Gillo Dorfles “dopo aver tanto inneggiato ai prodigi della macchina e della tecnologia, oggi ci sembra di assistere ad un misterioso ritorno alle antiche virtù della nostra mano. ‘Recupero della manualità’, questa sembrerebbe la giusta espressione: ne sono una prova gli sviluppi della danza, l’avvento della Body Art, oltre al nuovo interesse per molte forme di artigianato che (per fortuna) non sono sparite del tutto dal panorama estetico del nostro mondo, come la ceramica, il vetro, la tessitura”(Se l’artista spegne il pc e torna a fare l’artigiano, www.corriere.it, Il Club della lettura). Alla lista è doveroso aggiungere, tutt’altro che ultima in ordine d’importanza, l’arte conciaria, ovvero l’antico mestiere della lavorazione dei pellami, un’attività ancora al 90% artigianale che in Italia, ben lungi dall’essere sparita, fattura attualmente 5,7 miliardi di Euro. Una cifra che già da sola lascia intendere come dietro questo “misterioso” ritorno alle origini vi siano in realtà precise ragioni economiche e lucide strategie industriali. Ce le spiega Stefano Caponi, amministratore unico della Conceria Superior di Santa Croce Sull’Arno, punta di diamante del distretto conciario toscano da tre generazioni, che ha chiuso il primo semestre 2012 con un incremento di fatturato del 54 % ed un carnet di clienti a cui sono abbonate tutte le più grandi maison del lusso. “C’è chi giudica la presenza consistente di lavoro artigiano nel nostro territorio come il tallone di Achille di un comparto manifatturiero destinato a soccombere sotto la spinta della globalizzazione. Personalmente penso che sia vero l’esatto contrario. E cioè che sia attualmente proprio la globalizzazione, con i recenti mutamenti socioeconomici e culturali che ha innescato, a riportare alla ribalta i valori della craftsmanship. E questo grazie ad una crescente domanda di qualità intrinseca e di esclusività da parte delle nuove economie, che nel caso dei prodotti moda, ed in particolare degli accessori, solo la lavorazione manuale può veramente assicurare. Direi anzi che in Italia, il savoir faire artigianale rappresenta, adesso più che mai, la migliore risposta alle nuove istanze dei mercati, la via maestra per l’innovazione. Per capirlo è però necessario superare la vecchia visione che confina l’artigianato nella piccola dimensione, quasi a sottendere anche piccoli valori. La prospettiva corretta è invece quella capace di inquadrare ed esaltare la componente artigiana come parte integrante di grandi realtà economiche. Andrebbe cioè riscritto completamente il ‘manifesto’ della manifattura italiana in nome di una nuova, virtuosa contaminazione tra lavoro artigiano ed economia globale. E in questo l’esperienza delle concerie, per definizione trade union produttivo fra il ‘saper fare’ della bottega artigiana ed i grandi gruppi del lusso, potrebbe sicuramente giocare un ruolo fondante”. Ma nel caso di Superior, in cosa s’identifica oggi l’attualità della bottega artigiana , o addirittura, data la collocazione geografica dell’azienda, l’eredità della bottega rinascimentale? “In prima battuta la risposta è facile: innanzitutto nel recupero e nella attualizzazione di antiche lavorazioni manuali. Ad iniziare, se non altro per evidenza etimologica, dalla ‘palmellatura’, cioè quel processo di pressatura del materiale in pelle ad opera, appunto, del palmo delle mani, o più solitamente di una tavoletta di legno detta “palmella”, finalizzato ad ottenere una texture dalla grana leggermente crespata e contemporaneamente ad ammorbidire l’insieme del pellame. Ma ad un’analisi più profonda, il vero DNA del nostro heritage storico è da rintracciare probabilmente nell’attitudine nella gente di questo territorio ad assimilare e tradurre in pratica il ‘sapere’ secondo la tipica accezione in cui il Rinascimento intendeva il concetto di ‘scienza’ inglobando al suo interno non solo il sapere scientifico, ma tutto il complesso delle conoscenze umane, comprese la arti che oggi chiamiamo ‘belle arti’ nelle quali all’epoca si identificava l’artigianato. In altre parole, da queste parti tecnologia, estetica ed abilità manuale sono una cosa sola. Tutto ciò, in termini pratici, significa ad esempio prevedere che l’uso di un certo prodotto conciante produrrà sul pellame una determinata sfumatura di colore, oppure che alcuni particolari effetti di luminosità saranno possibili solo grazie ad una precisa sequenza di sollecitazioni meccaniche. Significa in sintesi dipingere con la chimica, scolpire con la fisica, ovvero usare la scienza in senso creativo”. E’ facile intuire come un know-how così poliedrico richieda lunghi anni di apprendistato. “Non a caso in Superior dedichiamo grandi energie alla formazione, facendo scuola di conceria una volta alla settimana ai capi reparto e seguendo passo dopo passo i giovani nella loro maturazione professionale. Giudichiamo fondamentale il nostro ruolo didattico, perché siamo ben coscienti che, come tutte le arti, anche la nostra non possa che impararsi sul campo. E ne siamo orgogliosi, perché anche questo modo di trasmissione del sapere, tipico delle botteghe d’arte antiche, ci fa sentire più vicini alla grande tradizione culturale da cui proveniamo. Convinti, al di là della nostra personale case history, della necessità di un nuovo approccio educativo che valorizzi anche le attività manuali e pratiche, cerchiamo di trasmettere alle nuove generazioni la ‘dignità del fare’ e il senso di rispetto per un lavoro che è da sempre sinonimo di eccellenza, maestria, rigorosa e quasi maniacale attenzione per i dettagli”. Un culto per la perfezione che parte dall’eleganza e dalla cura personale di Stefano Caponi per poi distribuirsi lungo tutta la catena produttiva, dall’arrivo del materiale grezzo fino al confezionamento dei pellami in grandi scatole nere con impresso lo stemma dell’azienda. E’ inequivocabilmente il linguaggio dell’alta sartorialità, o tradotto in termini femminili dell’ Haute Couture, attraverso cui Superior interpreta alla lettera il suo nome, dialogando da pari a pari con i grandi blasoni del lusso mondiale. Viene spontaneo chiedere quanto di tutto ciò sia effettivamente percepibile dal consumatore finale, notoriamente molto più attratto dal fascino dell’accessorio finito piuttosto che dalle qualità del materiale con cui è fabbricato. La risposta ci stupisce piacevolmente. “Da questo punto di vista stiamo assistendo ad un graduale cambiamento, poiché ormai in molti mercati si sta facendo strada un consumatore evoluto, capace di apprezzare i valori intrinseci del prodotto. D’altra parte crediamo che la tendenza generale verso un consumo consapevole si tradurrà inevitabilmente anche in una ricerca della qualità del materiale”. E quale potrebbe essere allora il cliente ideale dei pellami Superior? “ Un cliente privo di steccati, di preconcetti, di barriere culturali. Sentiamo spesso parlare di prodotti creati per il mercato asiatico piuttosto che per quello USA, oppure per un pubblico giovane o adulto. Noi invece abbiamo in mente un target non geografico o anagrafico, ma culturale e di stile. Riteniamo infatti che la nostra mission sia ‘semplicemente’ fare conoscere al mondo un ‘total italian lifestyle’ fatto di bello, buono e ben fatto. Per questo, nell’agenda delle priorità abbiamo sempre messo al primo posto la fedeltà a noi stessi, e cioè il continuo perfezionamento di quei prodotti che hanno fatto la storia del nostro marchio e continuano a decretarne il crescente successo. Potremmo definirli dei pellami-icona, dotati di un carattere talmente intenso da mantenere immutata nel tempo tutta la loro identità e forza comunicativa. Al punto di trasformare la loro origine, dichiaratamente locale e tradizionale, in un punto di riferimento universale”. L’unicità globale del carattere locale. E’ questa la via del futuro? A guardare le grandi manovre dei marchi del lusso sembrerebbe proprio di sì. Basti pensare alla ricerca di capacità produttive che in questi ultimi tempi i brand internazionali stanno sempre di più sviluppando in Italia. Primo fra tutti Gucci, sempre più legato al distretto toscano della pelletteria, riconosciuto da Micaela Le Divelec Lemmi, executive vice president della griffe, come “uno dei poli manifatturieri più importanti del sistema economico nazionale”. A seguire, l’iniziativa volta a salvaguardare la manodopera italiana da parte di un altro brand della scuderia PPR, Bottega Veneta, che ha di recente dato il proprio sostegno alla nascita della Cooperativa Montana Femminile, un laboratorio artigianale per la lavorazione della pelle gestito unicamente da donne, situato ad Arsiero in provincia di Vicenza. Ed è interessante sottolineare come anche il gruppo Pinault stia investendo in aziende italiane con una tradizione fortemente artigianale alle spalle, scegliendo di puntare con decisione proprio su questo aspetto dell’heritage dei marchi controllati: non a caso l’ultimo acquisto è stato Brioni, la cui tradizione sartoriale in quel di Penne è un’altra eccellenza italica. Parallelamente Louis Vuitton ha aperto un proprio stabilimento a Fiesso d’Artico, sulla riviera del Brenta, uno dei distretti più importanti del savoir faire calzaturiero italiano, secondo una logica in base alla quale, per ciascuna delle categorie di prodotto per cui la griffe è famosa nel mondo, viene individuato il luogo di produzione che possiede il miglior know-how. L’Italia potrà dunque essere una destinazione più che interessante per investimenti di alto livello, laddove sarà in grado di preservare le sue eccellenze produttive. Specie nel contesto di un quadro di settore comunque roseo. Secondo Altagamma infatti, nonostante l’instabilità socio-economica, il mercato del lusso a livello mondiale supererà quest’anno la cifra record dei 200 miliardi di euro, e gli accessori continueranno a rappresentare la categoria best- performing. Mentre secondo l’ultimo report di Prometeia, realizzato in collaborazione con il Centro Studi di Confindustria e l’Associazione Nazionale Conciatori, entro il 2017 i 30 principali nuovi mercati acquisteranno solo prodotti definiti BBF: belli e ben fatti. E allora, buon lavoro Signor Caponi.